Dopo gli articoli precedenti torno a parlare di intelligenza artificiale, questo giro senza giraci attorno o senza trovare scuse (come ho fatto per le automazioni industriali o per l’internet delle cose).
Questo giro vado diretto perchè mi sono reso conto che purtroppo esiste ancora troppa “narrativa fantastica” (nonchè fantasiosa e fantascientifica) riguardo a questo argomento.
Tutti ci ostiniamo a pensare a Skynet ed alla sua invasione di robot futuristici alla Terminator quando sentiamo le parole “intelligenza artificiale”.
Lo so è affascinante (anche se spaventoso) pensare che le macchine possano essere dotate di intelligenza propria e di un’autonoma capacità decisionale, ma questo NON È POSSIBILE.
L’introduzione del concetto di intelligenza artificiale all’interno della vita di tutti i giorni è uno degli inganni matematici più affascinanti degli ultimi 20 anni.
Ora spiegherò perchè l’ho definito inganno.
Facciamo un piccolo salto indietro nel tempo, ai tempi del Commodore64. È evidente che un elaboratore del 1982 non ha abbastanza sufficiente potenza di calcolo per essere considerato intelligente.
Eppure con il suo processore da 1MHz e i suoi 64KB di RAM (quasi un millesimo se rapportato ai nostri odierni desktop computer) era in grado di battere mio padre, un discreto giocatore, a scacchi.
Agli occhi di tutta la famiglia la macchina appariva intelligente, sembrava prevedere le mosse dell’essere umano, si adattava alle situazioni, cambiava strategia. Sembrava pensante.
Solo dopo anni, con lo studio degli algoritmi ho capito quale era il trucco che si nascondeva dietro a quella rozza macchina.
Lavorava con un sacco di tabelle, una cosa impossibile per la maggior parte degli esseri umani (dotati di una memoria estremamente volatile).
Provo a spiegarla meglio: in partenza, all’avvio del gioco, il computer sapeva già quali sarebbero state tutte le possibili mosse di apertura, con relativa statistica di utilizzo della determinata mossa ed eventuali contromosse precalcolate per un numero relativamente alto di turni.
Ad ogni evoluzione del gioco la macchina si limita ad effettuare un ricalcolo basandosi sulla probabilità di efficacia, adattando il gioco a quello che potrebbe accadere nel breve futuro.
In apparenza poteva sembrare una lettura del pensiero, ma in realtà era solo una corretta applicazione della statistica e del calcolo probabilistico.
Un esempio, a suo modo rozzo e limitato di intelligenza artificiale.
Certamente risulta relativamente banale realizzare un’applicazione di IA in cui l’interazione umana è limitata a muovere dei pezzi su una scacchiera. Ben più complesso è invece realizzare un software in grado di interagire con un essere umano in piena libertà (pensiamo ai chatbot, che vanno tanto di moda in questo periodo), in quel caso gli asset di possibilità sono migliaia di volte maggiori rispetto alle mosse di apertura che abbiamo su una scacchiera con pezzi limitati.
Per questo, grazie anche alle capacità computazionali maggiori dei recenti elaboratori, oltre a tabelle decisionali sempre più grandi sono stati introdotti anche algoritmi di apprendimento, che introducono nuovi casi e nuove statistiche ogni qual volta si presenti una situazione sconosciuta al programma.
Alla fine quindi possiamo facilmente dedurre che: l’intelligenza artificiale non è altro che l’illusione di far apparire le macchine intelligenti a noi umani, anche se tutto si basa sempre su statistica e tabelle.
LEAVE A COMMENT